Protocollo di intesa tra le parti sociali del 14.03.2020 - Osservazioni della Società Italiana di Medicina del Lavoro
Abbiamo appreso solo dagli organi di stampa che il 14 marzo scorso è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra le parti sociali (apparentemente CGIL, CISL, UIL, Confindustria e Confapi) che definisce una serie di misure da attuare nelle aziende nell’attuale fase di emergenza legata all’epidemia COVID-19. L’intesa è stata promossa, pare, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dai Ministri dell'Economia, del Lavoro, dello Sviluppo Economico e della Salute, in attuazione del DPCM 11.3.2020 che raccomanda tali accordi. Il Governo favorirà la piena attuazione del Protocollo che, comunque, è bene precisare rappresenta solo un atto di intesa tra parti sociali e non è un provvedimento legislativo cogente.
In tale documento, suddiviso in tredici parti, al punto 12 (ma non solo) ci sono misure che riguardano in modo specifico le attività professionali dei medici competenti.
Spiace notare che mentre in tutto il Paese i medici del lavoro competenti stanno già collaborando attivamente con i datori di lavoro, i servizi di prevenzione e protezione aziendali, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e la sanità pubblica, né le parti sociali né il governo abbiano sentito l’esigenza di consultare nel merito la Società Italiana di Medicina del Lavoro, unica voce scientifica e maggior associazione dei medici del lavoro italiani che, se coinvolta, avrebbe fornito il suo supporto immediato e veloce,come sempre è stato.
Va qui sottolineato che non da adesso, ma dal primo apparire dell’epidemia, i medici del lavoro italiani, in funzione di medici competenti,hanno lavorato al fianco dei datori di lavoro, dei lavoratori e della sanità pubblica ben oltre i loro doveri, come oggi in Italia stanno facendo tutti i medici.
I medici del lavoro italiani sono da settimane quotidianamente e duramente impegnati in tutti gli ambienti di lavoro (non solo in quelli sanitari) per implementare le misure di regolamentazione utili al contrasto della diffusione del SARS-CoV-2, rispettando quanto disposto dalle autorità sanitarie nazionali e territoriali, in relazione all’evoluzione dello scenario epidemiologico e dell’esigenza primaria di contenere la diffusione dell’epidemia in atto.
La gravità della situazione e la necessità di evitare assembramenti e contatti tra la popolazione generale ha condotto a una rigida regolamentazione nell’accesso agli ambulatori di medicina generale, di continuità assistenziale e dei pediatri di libera scelta nonché, in molte regioni, degli ambulatori sanitari specialistici pubblici e privati che non erogano prestazioni di emergenza/urgenza, prevedendo gli accessi all’utenza solo in casi particolari.
Rientra in questo scenario l’attività di sorveglianza sanitaria svolta dai medici del lavoro competenti, che si potrà continuare a svolgere, ma in locali idonei e nel rispetto delle precauzioni igieniche necessarie, così come indicate dalle norme ministeriali. Poiché non in tutti gli ambulatori in cui operano quotidianamente i medici del lavoro competenti tali norme possono essere rispettate, si ritiene necessario che i datori di lavoro e/o le autorità sanitarie pubbliche si facciano quantomeno carico di fornire ai medici del lavoro competenti i necessari dispositivi di protezione individuale (come peraltro è già stato fatto, in diverse regioni, con i medici di medicina generale). È necessario rammentare, infatti, che l’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale nel nostro Paese è estremamente complesso in questa fase, soprattutto, per i liberi professionisti, quali sono,generalmente, i medici del lavoro competenti che operano nelle aziende non sanitarie.
Quanto alla sorveglianza sanitaria ex D.lgs 81/08, in linea con quanto fatto dalle strutture sanitarie pubbliche per la riduzione dei contatti(perfino gli interventi chirurgici non urgenti sono stati rimandati in molte regioni) si ritiene che almeno fino al perdurare dell’emergenza essa sia limitata alle prestazioni “urgenti” e cioè alle visite preventive, a richiesta e al rientro dopo malattia, che nel contesto emergenziale rappresentano l’attività sanitaria prioritaria (come peraltro riconosciuto anche dal citato protocollo d’intesa). Le visite periodiche non urgenti potrebbero senz’altro essere recuperate, senza alcun effetto pregiudizievole per la salute dei lavoratori, quando l’attuale emergenza sarà cessata.
Anche l’attività di sorveglianza sanitaria nelle aziende, infatti,deve uniformarsi alle indicazioni delle autorità sanitarie nazionali e locali, soprattutto al fine di ridurre la mobilizzazione non necessaria di lavoratori negli ambienti di lavoro, abbattendo il rischio di diffondere ulteriormente l’infezione in ambito professionale e comunitario.
Quanto ai comitati perla verifica delle azioni intraprese, previsti nel protocollo di intesa con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, la Società Italiana di Medicina del Lavoro ritiene indispensabile anche il coinvolgimento dei medici competenti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione aziendali.
Infine, la Società Italiana di Medicina del Lavoro qui ribadisce la sua disponibilità a fornire supporto scientifico a tutte le iniziative volte a controllare la diffusione del SARS-Cov-2 negli ambienti di lavoro del nostro Paese e ringrazia i medici competenti che si stanno muovendo con impegno, svolgendo un’attività oltre la norma, utilizzando tutti gli strumenti professionali e culturali in loro possesso, nel rispetto di un’etica che deve coniugare l’interesse dell’azienda, del lavoratore e di terzi.
La Presidente della SIML
Giovanna Spatari